Visualizzazione post con etichetta Giuseppe Interlandi. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Giuseppe Interlandi. Mostra tutti i post

venerdì 29 gennaio 2010

C.M. n.2 (8 gennaio 2010)

Indicazioni e raccomandazioni per l’integrazione di alunni con cittadinanza non italiana
La recente circolare ministeriale in questione fornisce nuove direttive che è importante considerare alla luce delle tradizionali problematiche legate all’integrazione degli alunni stranieri nelle nostre scuole e alla loro formazione. La circolare si apre sottolineando l’ormai nota incidenza del fenomeno migratorio sulla nostra realtà sociale, istituzionale e scolastica nella fattispecie. Il documento ministeriale sottolinea, tuttavia, l’incidenza negativa legata a determinate problematiche che riguardano il rapporto della scuola con gli stranieri. Queste premesse introducono uno dei punti centrali del documento: la distribuzione degli alunni stranieri nelle classi. Questa materia viene considerata da un punto di vista prettamente organizzativo al fine di evitare la formazione di classi disomogenee.
«Il numero degli alunni con cittadinanza non italiana presenti in ciascuna classe non potrà superare di norma il 30% del totale degli iscritti, quale esito di una equilibrata distribuzione degli allievi con cittadinanza non italiana tra istituti che insistono sullo stesso territorio»[1]
Il documento insiste su tre elementi di essenziale importanza: la dispersione scolastica, la padronanza della lingua italiana e il contatto tra diverse culture. Per quanto concerne l’inserimento degli alunni stranieri nelle classi questa circolare stabilisce che la quantità degli stranieri per classe non potrà superare, a partire dall’anno scolastico 2010-2011, la soglia del 30%. Tale soglia può essere innalzata o abbassata a seconda delle necessità particolari che dovranno essere seriamente motivate. Il documento, tuttavia, non si limita esclusivamente a stabilire criteri di carattere distribuzionale, ma delinea importanti modalità operative che possono diventare strumenti efficienti per il raggiungimento di veri ed avanzati obbiettivi di formazione. La circolare ministeriale propone, infatti, che si istituiscano dei veri propri “Patti territoriali” volti a una profonda concertazione tra le singole Istituzioni Scolastiche, le Amministrazioni Scolastiche territoriali e gli Enti locali. Questo punto del documento non può che essere condiviso perché è risaputo quanto la creazione di reti tra le istituzioni territoriali sia la strategia fondamentale per una buona accoglienza degli alunni non italofoni[2]. Tale organizzazione è utile anche per fornire, ai genitori degli allievi stranieri, un’approfondita informazione sull’offerta scolastica al fine di evitare situazioni di sovraffollamento e per garantire una scelta oculata della scuola da frequentare. Per far ciò le scuole dovranno avvalersi delle informazioni messe a disposizione dal  Sistema Nazionale di valutazione e dalle anagrafi degli Enti Locali ed avvalersi dell’apporto insostituibile, specialmente nella fase iniziale, dei mediatori culturali. Proprio per quanto riguarda l’inserimento nelle scuole è importante, come dice la circolare, la costituzione di scuole polo che ricevano le iscrizioni e provvedano ad assegnare gli alunni alle diverse scuole tenendo conto degli accordi di rete precedentemente stabiliti.
«scuole polo: esperienze, già attivate proficuamente in alcune città, prevedono che le iscrizioni in corso d’anno non siano effettuate direttamente presso la scuola, ma siano gestite da un apposito centro o da una scuola polo, anche utilizzando specifici supporti informatici. Essa provvede, secondo precedenti accordi di rete, ad assegnare i nuovi arrivati alle scuole del territorio in modo compensativo e razionalizzato»[3].
Per quanto riguarda l’inserimento in classe il documento prevede, inoltre, che un team di insegnanti, opportunamente formati, verifichino le competenze linguistiche in ingresso e considerino le altre importanti variabili per l’inserimento in classe. La circolare provvede a chiarire l’importanza dell’alfabetizzazione in lingua italiana per gli alunni neo-arrivati ed indica diverse possibilità di intervento tra cui:
·         L’attivazione di moduli intensivi di lingua italiana
·         La partecipazione a progetti di insegnamento dell’italiano come L2
·         Attività per il potenziamento della L2 nelle due ore settimanali dedicate all’insegnamento della seconda lingua comunitaria (DPR 20 marzo 2009)
Ritengo le linee d’azione esposte in questo documento molto valide dal punto di vista gestionale, ma rimane irrisolta la questione, fondamentale, riguardante il reclutamento di figure professionali specializzate come i facilitatori linguistici e dell’apprendimento. La formazione linguistica non può e non deve fermarsi al raggiungimento di un livello di padronanza considerato “utile”, ma deve inscriversi nella formazione di un curricolo verticale capace di rispondere alle esigenze linguistiche ed acquisizionali del discente.

 Giuseppe Interlandi   
        


[1] C.M. 8 Gennaio 2010, par. 3
[2] Si consiglia di consultare, a tal proposito, Favaro G., Insegnare italiano ad alunni stranieri, La Nuova Italia, Milano, 2002, cap. 1; Interlandi G., Dall’Interlingua all’intercultura. Un percorso linguistico tra le esigenze sociali, Tesi di Laurea, Catania, 2009, pp. 21-26 (pubblicata da www.tesionline.it
[3] Id. par. 5

giovedì 12 novembre 2009

Andare a scuola "in Europa" - PARTE I

Introduzione

Cosa significa fare educazione linguistica oggi? Il ruolo della scuola in una società veloce e mutevole come quella odierna appare sempre di fondamentale importanza. Gli apprendenti del nostro tempo pongono alla nostra attenzione un mondo cognitivo ed esperienziale per noi del tutto nuovo. Il discente di oggi è innanzitutto multimediale perché abituato a processi di ragionamento non più lineari e sequenziali, ma reticolari e mappati ed è anche multiculturale perchè sempre più abituato all’esperienza dell’incontro con il diverso. I codici di accesso ai processi cognitivi sono certamente cambiati come sono cambiati, d’altronde, gli stili di apprendimento. L’educazione linguistica, nella fattispecie, deve tener conto di elementi fondamentali come il repertorio linguistico dell’alunno di oggi, la sua esposizione all’input. Quest’ultimo è misto non solo per le diverse lingue con le quali si può entrare in contatto, ma anche per le diverse varietà sociolinguistiche che rendono ampia la possibilità di scelta in diafasia. La situazione appare più complessa e interessante se si considera la variazione in diamesia. Il parlato televisivo, soprattutto, è un serbatoio di modi comunicativi, frasi idiomatiche e patterns linguistici che caratterizzano, ormai, il parlato degli alunni italiani. In questo panorama si inscrive la sentita e delicata discussione sulle strategie che la scuola deve adottare per procedere verso nuovi orizzonti. È importante, dunque, considerare le realtà formative degli altri Stati europei per poter cogliere dalle altrui esperienze le cose utili, discostandoci da quelle infruttuose. Sicuro di non poter soddisfare il lettore in termini di esaustività, anche perché condizionato dalle necessità di spazio correlate al contesto ipertestuale ed ipermediale, non mi resta che l’ardire nel proporre questo mio piccolo contributo.


I sistemi scolastici europei.
Questo lavoro propone una ricerca comparativa che possa descrivere i sistemi scolastici esteri in maniera succinta per fornire, ai lettori, uno strumento d’informazione di facile leggibilità affinché chi desideri acquisire notizie sulla scuola dei diversi Paesi europei possa accedere, tramite questo lavoro, ad un’informazione già selezionata e accompagnata da qualche commento critico. Per uno studio più scientifico ed approfondito dei sistemi scolastici il lettore non disdegnerà di accostare, alla lettura di questa pubblicazione, la consultazione di testi e riviste di settore.


Belgio
La scuola belga prevede che l’obbligo di frequenza sia esteso fino ai diciotto anni d’età. Quello che bisogna considerare, prima di ogni cosa, per comprendere l’organizzazione della scuola in Belgio, è la gestione amministrativa dell’istruzione che ha certamente delle ricadute a livello contenutistico e didattico. Il sistema scolastico del Belgio, infatti, viene gestito, per ragioni linguistiche e culturali, dalle tre diverse regioni belghe: Fiandre, Vallonia e Bruxelles. Possiamo operare un’ulteriore tripartizione che rende conto della tipologia delle scuole. Queste possono essere divise in: Scuole della Comunità Regionale Belga, Scuole Pubbliche Belghe e Scuole Private Belghe. Gli ordini di scuola si dividono in elementare (Scuola dell’Infanzia fino ai sei anni e Scuola Elementare dai sei ai dodici anni), superiore ed accademico. Quello che colpisce, tuttavia, è che questo sistema scolastico prevede la possibilità di un’istruzione privata da casa che è sempre più in crescita, ma che non considera, secondo me, l’importanza del contatto con i pari nel percorso d’apprendimento. Un altro aspetto è legato, come dicevo prima, a questioni di natura linguistica e soprattutto storica e culturale. I ricchi fiamminghi del Nord si oppongono in maniera indefessa ai poveri valloni del Sud e il Paese, certamente, non ne guadagna in materia di riforme. La cosa sconvolgente è che anche a livello di programmi l’opposizione Nord-Sud è fortissima, tanto che la storia nazionale studiata in diverse zone del Paese non è la stessa. A livello linguistico questo comporta una difesa acerrima ed esagerata delle proprie varietà linguistiche. Per la scuola italiana, a mio parere, questo non è certo il modello esemplare, dato che siamo già fin troppo abituati ad ansie di “secessione” e a proposte di legge che invece di proporre una seria conoscenza della cultura locale in generale, vorrebbero imporre, con acceso spirito di “campanile”, lo studio del dialetto locale.


Bulgaria
La scuola bulgara prevede un corso di studi articolato in quattro fasce: Materna, Elementare, Media e Superiore. L’obbligo scolastico è previsto fino ai sedici anni di età. Per considerare il sistema scolastico bulgaro nella sua totalità, comunque, è necessario tener conto dei cambiamenti avvenuti nel 1989 a causa della caduta del vecchio sistema politico. La scuola bulgara, dunque, ha dovuto fronteggiare le responsabilità portate dalla democrazia e le difficoltà economiche sviluppatesi in seguito agli avvenimenti politici. Molte famiglie, infatti, hanno difficoltà a sostenere le spese relative all’istruzione dei figli. Nei primi quattro anni di scuola sono previsti solamente uno o due insegnanti e dal quinto anno un docente per area disciplinare. Le lezioni hanno durata di quarantacinque minuti, con intervalli di dieci minuti. A metà giornata è prevista una pausa di venti minuti circa. I fondi stanziati dallo Stato per la scuola sono davvero pochi e questo ha portato alla drammatica chiusura di molte scuole ed al licenziamento di diversi insegnanti. I programmi si basano su una vasta formazione umanistica e scientifica ed oltre alla storia nazionale viene studiata quella mondiale. Così è anche per i programmi di Letteratura, tra i quali compare anche quella italiana. Sono previsti degli incontri con i genitori, ma il rapporto con l’utenza è fortemente irrigidito ed istituzionalizzato. I docenti e gli studenti bulgari, infatti, vedono nella scuola italiana un modello di accoglienza alla base del quale sta il calore della gente e la gentilezza che si può trovare nelle nostre classi. Questo deve essere, per noi, motivo di soddisfazione e di incoraggiamento a continuare sulla strada dell’accoglienza, evitando atteggiamenti di chiusura incondizionata nei confronti dello straniero. Conoscere i sistemi scolastici degli altri Paesi, d’altronde, ci aiuta a concretizzare delle strategie d’accoglienza e di insegnamento utili a chi proviene proprio da queste località.  


Grecia
La scuola greca, fino agli inizi degli anni Settanta, era una tra le più arretrate d’Europa, ma da allora sono stati considerevoli gli sforzi volti a migliorare il sistema scolastico. Dal 1976 l’obbligo scolastico viene portato da sei a nove anni. La scuola elementare dura sei anni e i tre anni successivi costituiscono il Ginnasio o Scuola Secondaria Inferiore. La scuola dell’obbligo è completamente gratuita. A partire dalla quarta elementare è stato introdotto lo studio della lingua inglese. Gli alunni possono ottenere un aiuto finanziario dello Stato tramite borse di studio o fruizione di vitto e alloggio gratuiti. A quindici anni gli studenti devono compiere la prima scelta di orientamento. Esistono vari tipi di liceo: Generale, Tecnico-professionale, Polivalente-unico, Classico, Ecclesiastico e Musicale. Esistono anche sezioni di liceo che prevedono facilitazioni per chi pratica attività sportive. Nei licei i libri di testo sono distribuiti gratuitamente dallo Stato. Gli studenti delle scuole private ottengono risultati migliori, ma queste scuole sono troppo costose. Anche se la scuola greca ha intrapreso un percorso migliorativo di riforma, ciò che rimane arretrato comunque è la soffocante serie di esami da sostenere per ogni materia, praticamente alla fine di ogni anno scolastico.


Irlanda
L’Irlanda è un Paese che può vantare una grande tradizione scolastica. L’obbligo scolastico è di dieci anni; la scuola primaria va dai quattro ai dodici anni, la secondaria prosegue fino ai quindici anni e la superiore continua per un anno o due. Nella maggior parte delle scuole è previsto che gli alunni debbano indossare una divisa e dopo le lezioni è possibile praticare diversi sport, tra i quali si può anche scegliere la canoa. La scuola irlandese può sicuramente insegnarci tanto perché il diritto allo studio è veramente uno dei perni fondamentali della costituzione. Lo Stato irlandese ha posto nella scuola uno dei settori privilegiati per gli investimenti, tanto che l’Irlanda si presenta con la più alta partecipazione scolastica al mondo (l’81% degli studenti completa la scuola superiore ed il 60% frequenta l’università con notevoli risultati). Molte aziende di tutto il mondo, infatti, ricercano laureati irlandesi per posti dirigenziali di elevata importanza. Dispiace, tuttavia, intaccare questo quadro idilliaco con degli elementi che sono, purtroppo, altrettanto reali. Il grosso problema della scuola irlandese è rappresentato dal troppo stretto ed influente legame tra sistema scolastico, Stato e Chiesa. Questo comporta delle difficoltà nel programmare percorsi analitici e scientifici efficienti perché i programmi sono comunque influenzati dalla dottrina cattolica. I bambini, addirittura, vivono il succedersi degli anni scolastici come momenti di attesa dei vari sacramenti, tanto che alla fine della sesta classe ricevono “il dono dello Spirito Santo”. Questa marcata influenza religiosa ha fatto sì che lo Stato irlandese non destinasse molti fondi, per esempio, alle comunità straniere presenti. In questo senso, dunque, la scuola irlandese non è proprio al passo con i tempi. Ritengo che la Chiesa, soprattutto in Italia, abbia il sacrosanto diritto di esprimere la propria opinione, ma non è ammissibile una tale influenza sulla formazione pubblica, che deve garantire il diritto allo studio ed alla conoscenza in genere a tutti i cittadini, stranieri o nativi, credenti o non credenti. Una conoscenza, d’altronde, che deve essere libera dalla paura di incorrere in anatemi di sorta da parte di qualsiasi confessione religiosa.


Lettonia
Il sistema scolastico della Lettonia presenta aspetti positivi e negativi. Cerchiamo di analizzarli insieme. L’educazione prescolare è considerata come il primo livello del sistema educativo, ma non è obbligatoria. La particolarità sta nel fatto che i bambini dagli uno ai sette anni vengono considerati come un tutto indistinto e da questo tipo di organizzazione, il settore formativo che dovrebbe rivolgersi all’infanzia, non trae certamente vantaggio. L’accesso alle attività educative è gratuito, anche se le spese di gestione e la mensa sono a carico dei genitori. La scuola dell’obbligo si divide in primaria e secondaria e alcune scuole di base offrono corsi professionali. Le lezioni durano trentacinque o quarantacinque minuti a seconda delle scuole. Il curriculum è stabilito a livello centrale e tra le materie sono presenti anche Introduzione all’Economia, Informatica e Biologia. L’anno scolastico inizia a settembre e termina alla fine di maggio, è suddiviso in trentaquattro settimane di lezioni al primo anno, trentacinque dal secondo all’ottavo anno e trentasette settimane al nono anno. Nell’istruzione primaria le materie sono affidate ad un insegnante unico sostituito da altri docenti per le attività specialistiche. L’istruzione secondaria superiore prevede due tipi di percorso: la Vitusskola (istruzione secondaria superiore di tipo generale) e l’Arodvidusskola (istruzione secondaria superiore di tipo professionale). Il Centro per i curricula e gli esami redige una lista di testi da poter utilizzare nella didattica dalla quale gli insegnanti scelgono i più idonei. Gli alunni possono scegliere tra i vari programmi di istruzione secondaria messi a loro disposizione. Otto materie, comunque, sono ritenute obbligatorie dal Ministero dell’Educazione e delle Scienze: Lingua e Letteratura Lettone, Matematica, prima e  seconda Lingua Straniera, Storia, Sport, TIC ed Elementi di Economia. Nelle scuole in cui la lingua dell’istruzione è il russo è possibile scegliere il lettone come lingua straniera. La percentuale delle materie generali rispetto a quelle professionali varia a seconda degli indirizzi anche se è garantito a tutti il possesso di una vasta cultura di base. Questo sistema scolastico prevede lo studio di due lingue straniere ed in generale, la politica linguistica perseguita nella scuola lettone, riguarda lo sviluppo di un cosciente bilinguismo che risponde alle necessità di un contesto sociolinguistico in cui il 45% della popolazione non parla il lettone. Anche se quest’ultimo è stato riconosciuto come lingua ufficiale nel 1989 sono presenti diverse minoranze linguistiche e gran parte della popolazione parla il russo. Questa situazione ha permesso alla scuola della Lettonia di rendersi conto di quali siano i veri bisogni linguistici degli apprendenti. La valutazione, infatti, differisce dalla certificazione e gli standard non descrivono più l’allievo perfetto, ma delle competenze e delle abilità da raggiungere alla fine di ogni stadio formativo. La scuola tende, dunque, a fornire all’alunno sia una valutazione formativa che una certificatoria che abbia una determinata spendibilità sociale. Un’analisi scientifica, comunque, deve rilevare diversi aspetti dell’oggetto in questione. A questo punto, dunque, la domanda sorge spontanea: chi si occupa della certificazione? Se quest’ultima pretende di possedere una spendibilità sociale dovrebbe essere curata, a mio parere, da un ente terzo e non dalla stessa scuola. Per quanto riguarda le certificazioni linguistiche abbiamo in Italia, per fortuna, l’esempio della certificazione CILS (Certificazione di Italiano come Lingua Straniera) che ha certamente grande valore in termini di spendibilità sociale proprio perché fatta da un ente terzo come l’Università per Stranieri di Siena[1].


Malta
Parlare del sistema scolastico dell’isola di Malta impone l’assunzione di uno sguardo di lungo periodo che consideri anche la fortunata posizione geografica dell’isola. Considerare la storia maltese è necessario perché  questo sistema scolastico risente fortemente del modello anglosassone e tale influenza è segno della dominazione britannica durata un secolo e mezzo. L’elemento caratterizzante questa organizzazione scolastica è, infatti, l’insegnamento della Lingua Inglese sin dagli inizi del percorso formativo. L’obbligo scolastico si estende fino ai sedici anni ed il 90% della popolazione scolastica continua a studiare oltre la scuola dell’obbligo. Sin dall’età di cinque anni, dunque, gli studenti maltesi entrano in contatto con l’apprendimento bilingue. I programmi prevedono, infatti, l’insegnamento precoce dell’inglese e del malti o maltese. Anche in questo sistema scolastico, come in quello greco[2], gli esami costituiscono dei punti di snodo essenziali per tutto il percorso formativo. Un esame molto difficile e significativo per il cammino futuro dello studente è previsto all’età di undici anni. Dal febbraio 1996 l’informatica caratterizza in modo predominante i programmi di studio anche delle altre discipline. In ogni classe, infatti, sono presenti quattro computer a disposizione degli studenti. L’influenza del sistema scolastico britannico si nota anche nell’articolazione del percorso formativo in tre gradi: istruzione primaria (dai cinque agli undici anni), istruzione secondaria (dagli undici ai sedici anni) ed istruzione terziaria (dai sedici anni in poi). Vi sono scuole statali, private e religiose. L’Università di malta è riconosciuta da molte università straniere ed è gemellata con quella di Roma. Al termine del corso di istruzione secondaria viene rilasciato il Matriculation Certificate examination che prevede un esame a livello nazionale organizzato dal Matriculation and Secondary Education Certificate (MATSEC) Board dell’Università di Malta. L’isola, grazie alla sua posizione strategica e a vantaggiosi prezzi e tariffari, costituisce una meta privilegiata per il turismo d’istruzione. A proposito di quest’ultimo aspetto dobbiamo considerare la particolare condizione linguistica dei cosiddetti apprendenti soggiornanti che risiedono nel paese della L2 per un periodo, al fine di seguire i genitori impegnati in attività lavorative. Questo particolare profilo di apprendenti L2 riguarda, in parte, anche l’Italia. Il sistema educativo maltese rappresenta, inoltre, una sorta di archetipo a partire dal quale i nascenti sistemi scolastici dell’Africa mediterranea si stanno modellando.


Polonia
Il sistema scolastico della Polonia vanta una lunghissima tradizione di prestigio che è rappresentata dalla Commissione Nazionale all’Educazione polacca, fondata nel 1773. Dall’università polacca provengono personaggi di grande rilievo quali Copernico o papa Giovanni Paolo II. Il sistema scolastico polacco prevede un obbligo che parte dai sette anni di età. Nel 1999 la durata della scuola primaria, che consisteva di otto anni, fu ridotta a sei. Dopo la scuola elementare inizia la scuola media che è strutturata in tre anni di ginnasio e che inizia al compimento dei tredici anni. Alla fine di questo livello di studio è previsto un esame. La scuola secondaria superiore si suddivide in liceo generale, tecnico e professionale. L’esame previsto a livello nazionale alla fine della scuola secondaria prende il nome di Matura o ED.  Questo esame è obbligatorio solo per gli alunni che richiedono il certificato per accedere ad un percorso di studi superiore. L’esame si compone di una prova scritta di Lingua e Letteratura Polacca, un’altra su una materia opzionale scelta dall’alunno e delle prove orali in cui è prevista anche la lingua straniera (inglese o tedesco).


Portogallo
Il sistema scolastico portoghese non è ancora in linea con i livelli stabiliti in sede europea. È importante, tuttavia, conoscere le sue macrocaratteristiche perché il portoghese, che è una lingua neolatina, è parlato in diversi posti ed è dunque un’importante lingua madre per molti studenti con i quali può capitare di approcciarsi nelle scuole. Ricordo che il portoghese è parlato in Brasile, Mozambico, Guinea-Bissau, Capo Verde e conta più di duecento milioni di parlanti nativi. Il sistema scolastico del Portogallo è amministrato da due diverse istituzioni: il Ministero dell’Insegnamento, che è responsabile delle scuole materne e primarie e il Ministero delle Università di Scienza, Tecnologia ed Insegnamento Superiore, che si occupa delle strutture scolastiche superiori. Anche in questo sistema scolastico si può scegliere, per quanto riguarda l’istruzione secondaria, tra un indirizzo generale ed uno professionale. È previsto un esame alla fine del corso di istruzione superiore ed è possibile optare anche per un insegnamento a distanza.


Romania
In Romania la scuola pubblica è gratuita ed è sostenuta, oltre che dallo Stato, da società economiche di vario genere. I programmi di studio della scuola privata sono similari a quelli dell’istruzione pubblica e vengono giudicati dal Ministero dell’Istruzione. L’obbligo scolastico dura nove anni (dai sette ai sedici anni) e prevede la frequentazione di una scuola materna alla quale seguono la primaria e la secondaria e la superiore. La scuola materna può prevedere un orario normale, prolungato o settimanale in conformità alle abilità dei discenti. La scuola primaria funziona solo con orario normale ed ha, come unico e riduttivo obiettivo, l’acquisizione dei fondamenti della “Cultura Generale”. Oltre a ritenere striminzita questa programmazione per la primaria mi sento anche di affermare che dovremmo metterci d’accordo sul concetto di cultura generale che continua ad essere, a mio modesto parere, alquanto aleatorio e quasi insignificante. Anche la scuola secondaria inferiore prevede solitamente un orario normale e, in via del tutto eccezionale, si organizzano corsi serali per chi ha superato di due anni la corrispondente soglia dell’obbligo scolastico. Le materie previste in questo percorso sono: Lingua e Comunicazione, Matematica e Scienze, Gente e Società, Arte, Educazione Fisica, Tecnologie, Consigli e Orientamento. Alla fine della scuola che da noi corrisponderebbe alla media viene rilasciato un certificato di idoneità che consente di iscriversi alla scuola superiore. Questa prevede tre possibilità di scelta: Scuola Professionale Biennale (che rilascia un attestato che non consente l’ingresso all’università), liceo generale (dalla durata di quattro anni) e liceo specialistico. La durata di quest’ultimo dipende dall’indirizzo scelto tra i seguenti: Accademia, Istituto industriale, Istituto agrario e tecnico-commerciale, Istituto artistico ed Istituto meteorologico. Dopo la scuola secondaria è possibile iscriversi, in alternativa all’università, a corsi che rilasciano attestati di specializzazione. Le scuole professionali offrono formazione per circa trecento mestieri e il liceo generale prevede la possibilità di scelta fra tre indirizzi: teorico (incentrato su materie umanistiche e scientifiche), tecnologico (basato su discipline legate ai servizi e alla protezione ambientale) e vocazionale (che abbraccia materie di tipo teologico, militare, sportivo, artistico e pedagogico). L’impressione che deriva dall’osservazione di questo sistema scolastico è quella di una struttura che pretende di abbracciare troppe cose le quali sono, d’altronde, curate in maniera superficiale. Si rischia di perdersi in questa enorme rete di indirizzi dalla cui analisi sorge spontaneo il commento: “chi più ne ha, più ne metta!”.


Slovenia
Il sistema scolastico della Slovenia è particolare per la situazione politica che ha caratterizzato questo Paese e risulta molto interessante per gli storici rapporti con l’Italia che oggi si riverberano in situazioni di confine e nei matrimoni misti. La dichiarazione di indipendenza dallo stato jugoslavo avvenne nel 1992. Gli apprendenti sloveni, dunque, sono stati sempre a contatto con lingue diverse, tra le quali l’italiano nella zona costiera. Nel territorio delimitato dalle cittadine di Capodistria, Pirano e Isola l’italiano è considerato come L2 e vi sono anche molti pendolari che lavorano e studiano in Italia. Sono presenti anche enti televisivi che si occupano della diffusione costante di programmi in lingua italiana e la lettura dei quotidiani italiani è un fenomeno frequente tra gli abitanti di queste zone. La richiesta di insegnamento della lingua italiana è in continua crescita. Negli ultimi anni la durata della scuola dell’obbligo è stata innalzata a nove anni e il sistema scolastico prevede la scuola dell’infanzia (dai tre ai sei anni), la scuola elementare (dai sei ai quindici anni) che è suddivisa in tre cicli triennali in cui la prima lingua straniera è l’inglese. La scuola media, dai quindici ai diciannove anni, è suddivisa in licei ed istituti tecnici e professionali. Esistono scuole di lingua italiana e scuole che hanno l’italiano come LS e gli approcci utilizzati per l’insegnamento delle lingue sono  quelli umanistico-affettivo e comunicativo. Le attività di laboratorio hanno un ruolo importante per l’apprendimento delle lingue e l’obiettivo principale è quello di far sviluppare una capacità semiotica in genere ed una cosciente consapevolezza metalinguistica e metacognitiva. La scuola slovena, infatti, si avvale in maniera considerevole delle metodologie ludiche. L’unico limite di questo sistema scolastico è la mancata interrelazione tra i diversi insegnanti che è un problema più serio per l’italiano il cui insegnamento, nelle scuole in cui è considerato come LS, non dipende da direttive ministeriali, ma è lasciato alla libera gestione del docente che può essere più o meno esperto. Un sistema scolastico, dunque, che pur nei suoi limiti organizzativi derivanti dalla passata situazione politica ha fatto di necessità virtù puntando ad un’educazione che sia cosciente e calibrata sui bisogni dell’apprendente e che, nel caso dell’educazione linguistica, punti alla scoperta induttiva della lingua per poter essere non solo parlanti esperti nelle diverse situazioni linguistiche, ma anche attenti analizzatori del proprio processo di apprendimento. Ritengo che l’esempio della Slovenia ci debba stimolare a perseguire la strada dell’aggiornamento didattico in un Paese come l’Italia che vanta importanti studiosi di Glottodidattica e ferventi realtà di ricerca e sperimentazione.


Svezia
Il sistema scolastico della Svezia è certamente, insieme a quello finlandese, quello che raggiunge livelli di vera efficienza e professionalità. Un elemento fondamentale della scuola svedese è la gratuità che non è un diritto astratto che viene sconfessato, come accade in Italia, dalla necessità di pagare libri, trasporti e altro ancora, ma è un dovere della pubblica amministrazione che viene rispettato in pieno. L’unica cosa che si paga, giustamente, è la tassa d’iscrizione. Un aspetto che a mio parere è fondamentale sottolineare, tuttavia, è quello espresso da una legge, approvata in Svezia nel 2001, che si chiama “Legge di uguale trattamento degli studenti” che stabilisce l’uguaglianza di trattamento nei confronti delle diverse etnie, tendenze sessuali, religioni ed handicap. Tutti i fenomeni di discriminazione, offesa ed abuso sono vietati e tenuti sotto controllo anche con atti di prevenzione ed educazione. L’obbligo scolastico ha una durata di nove anni e i bambini, se richiesto dai genitori e permesso dal comune di residenza, possono iniziare la scuola a sei anni invece di aspettare i sette anni. L’anno scolastico inizia ad agosto, termina a giugno ed è suddiviso in due semestri. I comuni di residenza sono obbligati a fornire agli studenti i libri di testo e tutti i materiali necessari alla frequentazione delle lezioni. In questo sistema scolastico è incoraggiato un apprendimento bilingue perché viene sottolineato il vantaggio cognitivo derivante dallo studio di più lingue. Non esiste una valutazione punitiva, ma la promozione o l’eventuale bocciatura è una cosa discussa con i genitori alla luce del percorso fatto e delle necessità dell’allievo. I voti, infatti, sono assegnati in corrispondenza delle capacità acquisite e vengono sommati in tutto il percorso che porta, infine, all’assegnazione di un voto di maturità che racchiude diversi parametri di valutazione. Tutti i bambini hanno diritto ad un assegno familiare fino al primo trimestre compreso dell’anno in cui compiono sedici anni. Per gli allievi dai sedici ai diciannove anni l’istruzione secondaria è rappresentata dai ginnasi che possono essere gestiti dai comuni, dagli enti regionali o da enti privati. Tutti i ginnasi devono fornire una formazione approfondita in otto materie fondamentali che vengono integrate con materie specifiche che variano a seconda dell’indirizzo scelto. Se il comune di residenza dell’allievo non possiede un ginnasio che contempli il programma di studi da egli scelto il discente ha diritto ad essere assistito da un altro comune  che possieda quel ginnasio. Il sistema universitario è parimenti avanzato e prevede una seria selezione in base al percorso di studi condotto fino alla secondaria e prevedendo, però, molte agevolazioni organizzative ed economiche per gli studenti.


Ungheria
Il sistema scolastico ungherese prevede un’istruzione obbligatoria fino all’età di diciotto anni per coloro che sono nati dal 1998 in poi. Gli allievi nati prima del 1998 possono interrompere gli studi all’età di sedici anni. Prima dei sedici anni, inoltre, non è possibile intraprendere studi professionali perché è obbligatorio, fino a quell’età, costruirsi una formazione di base. L’ingresso nella scuola primaria può avvenire a sei o a otto anni a seconda della preparazione dei singoli. La scuola dell’infanzia è amministrata dal governo locale. Dopo la primaria è previsto un livello di istruzione secondario a cui seguono il college, l’università e l’istruzione post-lauream. Un problema molto serio della realtà scolastica ungherese è rappresentato dalla dispersione scolastica. La scuola, infatti, è molto flessibile per quanto riguarda la scelta degli indirizzi dato che i docenti consigliano agli studenti meno brillanti di passare ad una scuola meno impegnativa e tale passaggio è effettuabile in qualsiasi momento. I ragazzi possono essere bocciati un massimo di due volte nella stessa scuola ed alla terza volta sono obbligati a cambiare istituto. L’Ungheria, dopo essere entrata a far parte della Comunità Europea, ha dovuto attrezzarsi per operare un ammodernamento del sistema scolastico che potesse puntare, soprattutto, alla riduzione dell’eccessiva dispersione scolastica (soprattutto nelle scuole professionali) e all’integrazione sociale dei giovani Rom che  vivono immersi in un contesto segnatamente plurilingue. La situazione dei Rom in Ungheria non è stata certo delle più felici perché la discriminazione è stata fortissima e molte scuole in cui sono iscritti alunni rom hanno perso prestigio sociale e questo ha causato una forte ghettizzazione formativa. Tra i Rom, ovviamente, si registra una dispersione scolastica vertiginosa, ma questo non significa che la scuola non debba attivarsi per l’educazione di questi allievi. La cosa che più mi disturba, tuttavia, è il fatto che molti alunni di nazionalità rom vengono segregati in scuole speciali per ragazzi con handicap e moltissime volte non hanno nessun tipo di disabilità, ma la loro diversità linguistica e culturale viene considerata come una pestilenza! Dopo la soglia della scuola primaria questi ragazzi che non sono per nulla malati, ma hanno problemi di socializzazione legati al contesto in cui vivono restano in questi istituti speciali perché è data loro “una possibilità di cambiare” fino alla scuola elementare. Il passaggio, però, avviene con difficoltà per colpa dei genitori ungheresi che si oppongono alla “contaminazione”. Un segno di speranza è dato dall’istituzione di scuole-dormitorio che hanno il vantaggio di far vivere i ragazzini rom a scuola evitando il loro ritorno nella comunità. Questa soluzione sta cominciando a dare importanti risultati, in quanto i figli di genitori rom che hanno studiato in queste strutture si stanno inserendo meglio nella società ungherese. Ritengo di dover affermare, comunque, che anche se gli alunni di questa nazionalità presentano problematiche più serie una scuola che culla i pregiudizi ed i clichè  dei genitori che vogliono “proteggere” i loro puri fanciulli dall’incontro con il diverso rischia di essere oltre che arretrata, certamente inadatta a contribuire allo sviluppo del Paese.
di Giuseppe Interlandi

[1] Cfr. Giuseppe Interlandi, Dall’Interlingua all’Intercultura. Un percorso linguistico tra le esigenze sociali, Catania, Luglio 2009, Cap. II, pp. 53-66.  Pubblicata su www.tesionline.it
[2] Vedi § 2.3

I sistemi scolastici europei. Conclusioni

Dopo aver letto l’articolo dal quale ha preso spunto questa ricerca ed aver considerato, anche se in maniera molto generale, le caratteristiche relative ai diversi sistemi scolastici esteri possiamo certamente trarre qualche conclusione. Il primo fattore importante da considerare è il legame sempre ricorrente tra scuola e società, tra scuola e cultura. Quest’ultima rappresenta proprio l’obiettivo principale del fare scuola, affinchè il rapporto con il discente non sia riduttivamente istituzionale e nozionistico, ma sondi la sua ancestrale sete di conoscenza e la soddisfi con attività calibrate che possano rendere l’apprendimento adeguato ai bisogni. Dall’analisi di sistemi educativi appare chiaro, nella maggior parte dei casi, che la considerazione della centralità dell’apprendente sia di fondamentale importanza. Gli obiettivi che i Paesi si sono posti in sede europea, d’altronde, mirano proprio alla considerazione dell’apprendente europeo che vive immerso in una comunità di saperi e di lingue che deve poter condividere con i suoi concittadini. Proprio per questo motivo un documento di fondamentale importanza come il Quadro comune europeo per le lingue o framework pone come punto di forza di qualsiasi intervento in materia di lingua il raggiungimento di una filosofia della trasparenza, che possa garantire la flessibilità e l’agilità di qualsiasi spostamento nel nuovo contesto europeo. Dopo aver espresso questi concetti fondamentali, che caratterizzano le principali linee di aggiornamento seguite in tutta Europa, possiamo definire un concetto importante che, a mio parere, spiega alcune delle differenze rilevate tra i sistemi. L’articolo pubblicato su “Oggi” che ci parlava della scuola finlandese ci presenta un sistema oltremodo funzionale che deriva da una concezione del vivere la formazione molto lontana dalla nostra. Non ci resta che ribadire il fatto che se uno Stato investe con fiducia nella scuola otterrà in cambio delle risposte positive che contribuiscono a rendere migliore tutto il sistema Paese. La scuola italiana, purtroppo, soffre dei malanni causati non solo dai diversi e a volte strani sconvolgimenti ministeriali succedutisi in tanti anni, ma anche da leggi e riforme che a volte, anche se centrate da un punto di vista scientifico e didattico, devono cozzare con la dura realtà della pochezza economica, che porta le scuole, sempre più carenti a livello di fondi d’istituto, a sopravvivere in una sorta di guerra tra pezzenti che certo non contribuisce alla crescita della qualità formativa. Il problema della tanto gridata scarsa qualità della scuola italiana è legato anche al tipo di approccio didattico utilizzato che ci allontana anni luce da Paesi come la Finlandia. Una docente di scuola superiore, durante un dibattito legato proprio alla tematica di cui ci stiamo occupando, è intervenuta affermando che in Finlandia il profitto scolastico è di qualità maggiore perché le basse temperature e il poco sole garantiscono una maggiore predisposizione all’apprendimento. A prescindere da uno studio di tipo sociologico e ambientale che potrebbe rispondere a questo tipo di questione e per il quale non ho certamente le conoscenze adeguate, ritengo che un piacevolissimo clima mediterraneo come il nostro non sia la causa principe del fallimento di certa didattica. Quelli che alcuni insegnanti chiamano “i nuovi metodi”, a volte con accezione di sdegno e voglia di distacco, non sono affatto nuovi. Basti pensare alla versatilità mentale di una figura come quella di Alberto Manzi che, in    un’Italia in cui l’unità linguistica e culturale era ancora un obiettivo raggiunto pressocché esclusivamente sulla carta, capì che per comunicare i contenuti è possibile parlare un nuovo linguaggio didattico che non sia censorio e purista, ma induttivo e stimolante. Dobbiamo ricordare anche figure del calibro di Don Milani e Gianni Rodari che, con esperienze diverse e in contesti diversi, perseguirono la strada didattica che porta, come mi ripeto tra gli studi e le esperienze pratiche, a considerare la realtà da tante angolature diverse, tra le quali quella privilegiata è quella dell’apprendente. In conclusione, però, voglio chiarire che non mi trovo in conformità di pensiero con chi tende esclusivamente a screditare la realtà scolastica italiana. Questa ricerca, ovviamente, considera i diversi sistemi scolastici senza prendere in piena considerazione il loro contesto politico-economico e ci scusiamo di questo con il lettore che avrà la pazienza di comprendere che questa non era la sede adatta per un lavoro così approfondito. In Italia, come ho già detto, questo aspetto appare importante proprio per la situazione economica non proprio felice in cui versa il Paese in questi anni, ma la scuola italiana possiede un ricco milieu fatto di risorse umane ed intellettuali che, se spese nel modo più opportuno, possono donare alla nostra realtà un sistema formativo degno dello sforzo profuso ogni giorno. Rinnovare e rinnovarsi, raccontare e raccontarsi, inventare ed inventarsi. Questi gli obiettivi che la scuola italiana deve oggi perseguire per raggiungere i sistemi scolastici più evoluti tra quelli che abbiamo descritto. Tutto ciò, ovviamente, non può essere disgiunto da un più serio impegno dello Stato che dovrebbe cercare di tenere in maggiore considerazione formazione e ricerca come perni dello sviluppo dell’intera società civile.   


di Giuseppe Interlandi

Il mediatore culturale: utile figura professionale, mero traduttore o rassegnato badante?

In una seguita rivista scolastica dal titolo Nuova secondaria della casa editrice La Scuola, nell’opuscolo del 15 ottobre 2009 anno XXVII, compare un articolo alquanto interessante non solo per l’argomento, ma anche per la sua autrice. Quest’ultima si chiama Lourdes Velazquez ed il titolo dell’articolo è il seguente: “Una nuova figura professionale?”. Dicevo che in questo articolo è fondamentale considerare l’esperienza dell’autrice che è una mediatrice culturale. Intendo sottolineare il genere femminile del sostantivo mediatrice dato che questo è un ruolo che sempre più frequentemente ricoprono le donne. Cerchiamo di commentare le affermazioni salienti del suo articolo. L’autrice esordisce riconoscendo, giustamente, un merito all’Italia in materia di accoglienza verso gli stranieri: la creazione della figura del mediatore culturale. Non possiamo che concordare in quanto l’Italia, pur considerando la presenza di proposte politiche ed educative a volte molto discutibili, si è sempre distinta per la considerazione della necessità di una figura quale quella del mediatore culturale che, essendo di cultura diversa da quella italiana, ma inserito linguisticamente e culturalmente nel nostro Paese, possa aiutare gli immigrati della sua area culturale ad inserirsi in modo proficuo nella società italiana. L’autrice ci ricorda, giustamente, la necessità di non limitarci al concetto di inserimento. Il mediatore culturale, d’altronde, viene visto, nella realtà delle cose, come colui che aiuta i figli degli immigrati nell’inserimento a scuola e diventa, come lo definisce la Velazquez, una sorta di collaboratore scolastico che, in alcuni casi, può rischiare di essere confuso con l’insegnante di sostegno. Il problema sottolineato nell’articolo è molto serio e dobbiamo cercare di capire il perché di queste affermazioni. Aiutare un discente nel suo inserimento a scuola, se vogliamo ragionare in termini scientifici e non meramente demagogici, concerne quelle strategie relative alla fase d’accoglienza. Sappiamo bene, tuttavia, che è scientificamente e professionalmente poco serio limitarsi all’inserimento ed alle attività relative al cosiddetto “pronto soccorso linguistico”, misconoscendo i reali bisogni dell’apprendente. Questo comporta che la figura del mediatore culturale debba essere quanto meno più definita di come appare adesso e che debba avere delle mansioni specifiche di cui discuteremo fra poco. Per affrontare questa spinosa questione possiamo avvalerci dell’esperienza dell’autrice dell’articolo in questione. Ella afferma che un mediatore culturale che entra in una scuola italiana prova certamente molto disagio e, se possiamo definirla così, una certa “ansia da ruolo”. Quest’ansia è legata al fatto che il mediatore viene incaricato per seguire l’alunno nell’apprendimento dei contenuti dell’insegnante sedendo accanto al discente. Abituato a cercare dei riscontri oggettivi per tutte le cose che leggo mi chiedo: che significa seguire l’alunno nell’apprendimento sedendogli accanto? Il mediatore culturale, in questo modo, si riduce a tradurre pedissequamente le parole del docente che spiega, ma si pretende da egli un’azione volta a favorire la socializzazione dell’alunno. Il tutto in venti ore da distribuire in due giorni alla settimana. Dobbiamo considerare però, come ci ricorda Lourdes Velazquez, che spesso gli insegnanti ritengono che la presenza del mediatore in classe disturbi l’attenzione degli alunni. Il mediatore, di conseguenza, è molte volte costretto  ad uscire con l’alunno per “cercare di insegnargli qualcosa”. Devo, a questo punto, pormi un’inquietante domanda: cosa insegna il mediatore? Rischiamo, dunque, di onerare queste utili figure anche di incarichi che non possono e non devono ricoprire. Per l’insegnamento delle lingue la scuola ha bisogno della presenza di facilitatori linguistici che possano, grazie alla loro esperienza ed ai loro studi specifici, selezionare le tecniche glottodidattiche più adeguate ad un determinato contesto di apprendimento. La facilitazione dovrebbe riguardare, comunque, tutte le materie, perché non possiamo assolutamente sottovalutare il problema legato all’apprendimento di una lingua di studio. L’autrice, nel riferire la sua esperienza, ci dice anche che una volta ha dovuto assistere una donna che doveva dare alla luce un bambino! Non si può concepire il mediatore come un semplice volontario ricco di voglia di fare, in quanto l’abilità della mediazione richiede studi specifici che servano a sviluppare, nel mediatore, capacità di riflessione e confronto per potersi porre come figura- ponte tra diversi sistemi vitali e cognitivi. Ritengo, in conclusione, che esperienze come questa dimostrino quanto la figura del mediatore culturale sia fondamentale, ma potremo godere dell’efficacia di tale ruolo solo se il mediatore potrà possedere una professionalità che gli è propria da spendere in contesti più efficienti con interventi più lunghi e non imbrigliati dall’ansia di risparmio che purtroppo caratterizza, oggi, la scuola italiana.
  
di Giuseppe Interlandi   

venerdì 16 ottobre 2009

Centro interculturale "Casa dei popoli" di Catania - Intervista alla direttrice dott.ssa Paola Scuderi

Intervista effettuata da Giuseppe Interlandi



1) Qual è la funzione del centro interculturale in una città come Catania così importante e particolare nell’ambito del Meridione?
Il centro interculturale “Casa dei Popoli” funge da solido ponte tra il mondo immigrato e la città affermando l’importanza di identità linguistiche e culture altre. Proprio per questo motivo sono attivi, presso il nostro centro, corsi per l’apprendimento di altre lingue oltre che dell’italiano.
2) Stranieri di quale nazionalità frequentano il centro?
Sono presenti persone di circa una settantina di nazionalità! Sono molto più numerosi, tuttavia, mauriziani e singalesi. Vi sono anche cinesi, bulgari e rumeni.
3) Quali sono i vostri rapporti con gli enti e le istituzioni?
Noi lavoriamo per accordi di rete ed abbiamo avuto sempre rapporti con ambasciate, consolati, questure, prefetture e godiamo della presenza di responsabili per la tutela sociale del CIR (Centro Italiano Rifugiati). Ci occupiamo dei migranti per necessità anche tramite le nostre tra case d’accoglienza. Mi sento in dovere di affermare, inoltre, che proprio la nostra visibilità istituzionale ha consentito un aumento della frequenza ai corsi di lingua ed una crescita della motivazione da parte degli immigrati, i quali vivono il centro anche come luogo di una socializzazione che fuori non è sempre possibile per le esigenze poste dai vincoli lavorativi e dalle abitudini di vita in genere.
4) Che prospettive scientifiche seguite in materia di lingua?
I nostri corsi di lingua italiana hanno dei livelli pre-intermedi, intermedi ed avanzati. Lavoriamo spesso con parlanti ascrivibili ai livelli A1 e A2 del framework del Consiglio d’Europa. Stiamo cercando di avere la possibilità di attivare dei corsi CILS e di proporci come preparatori. Attuare la certificazione CILS anche a Catania sarebbe interessante anche per dare agli immigrati un motivo in più per frequentare i corsi evitando, in questa maniera, l’assenteismo.
5) In che cosa consiste, solitamente, una vostra lezione di Italiano L2 e quali sono le difficoltà che incontrate?
Proponiamo, di solito, una lezione monografica su determinati aspetti della lingua e su particolari usi delle capacità comunicative. Siano convinti che le insegnanti di lingua straniera siano più adatte all’insegnamento della lingua seconda. Abbiamo riscontrato maggiori difficoltà con parlanti arabi e cinesi anche se questi ultimi hanno un’enorme capacità d’apprendimento. Difficoltà ancora maggiori hanno i parlanti singalesi. In generale, però, notiamo che tutti gli stranieri sono più portati allo studio delle lingue.
6) Il vostro centro gode della presenza di mediatori culturali?
Certamente. Operano presso il nostro centro in maniera regolare mediatori francesi, arabi e cinesi anche se lavorano con noi mediatori di altre lingue a seconda delle necessità.
7) Ricevete richieste da stranieri senza permesso di soggiorno?
Ogni tanto si presenta qualche straniero con permesso turistico, ma già da un po’ di tempo l’utenza è certamente cambiata dato che ospitiamo anche dottorandi o laureandi stranieri che ci invia la Scuola di Eccellenza.
8) In questo centro realizzate corsi di altre lingue. Quanto è importante salvaguardare le lingue d’origine?
Il bilinguismo è il fondamento di un percorso comune che porti alla convivenza pacifica tra i popoli. È assurdo essere ciechi di fronte ai patrimoni linguistici e culturali che gli altri ci donano.
9) Che rapporto avete con la politica?
Il nostro centro è comunale e quindi legato ai ritmi della vita amministrativa, ma ciò non significa dipendenza assoluta. Il centro interculturale lavora sempre e comunque a prescindere dai cambiamenti. Il nostro centro, d’altronde, è sicuramente nato dal basso, dalle associazioni e da una comune volontà che ha portato, nell’anno 1994, all’apertura, mentre era assessore proprio il professor Di Grado. Mi sento di affermare che l’educazione va oltre la norma e la politica.
10) Avete mai riscontrato, a Catania, problemi di odio dovuto alle differenze razziali?
Non abbiamo avuto problemi di questo genere in quanto il numero degli stranieri è ancora esiguo se confrontato con le cifre riguardanti il nord dove, a volte, si attuano politiche errate. Ovviamente i modelli assimilatori non pagano. Noi invece proponiamo l’incontro dei colori, il meticciamento, salvaguardando il diritto alla cittadinanza delle seconde generazioni e con i progetti che puntano sempre all’incontro tra le differenze, come quelli realizzati presso la scuola “Campanella-Sturzo” di Librino o come quando abbiamo preso parte, grazie all’invito del preside Iachello, alla cena di inaugurazione dell’anno accademico presso la facoltà di Lettere e Filosofia.
11) Ho certamente appreso che siete un centro interculturale evidentemente all’avanguardia ed in linea con le indicazioni degli studiosi di tutta Italia. Si può ancora parlare di integrazione?
Il termine integrazione è certamente improprio perché è sentito dagli autoctoni come un processo che riguarda solo gli immigrati e rappresenta l’arrestamento di qualsiasi progetto che guardi seriamente alla comunanza dei popoli.


Giuseppe Interlandi