Dopo aver letto l’articolo dal quale ha preso spunto questa ricerca ed aver considerato, anche se in maniera molto generale, le caratteristiche relative ai diversi sistemi scolastici esteri possiamo certamente trarre qualche conclusione. Il primo fattore importante da considerare è il legame sempre ricorrente tra scuola e società, tra scuola e cultura. Quest’ultima rappresenta proprio l’obiettivo principale del fare scuola, affinchè il rapporto con il discente non sia riduttivamente istituzionale e nozionistico, ma sondi la sua ancestrale sete di conoscenza e la soddisfi con attività calibrate che possano rendere l’apprendimento adeguato ai bisogni. Dall’analisi di sistemi educativi appare chiaro, nella maggior parte dei casi, che la considerazione della centralità dell’apprendente sia di fondamentale importanza. Gli obiettivi che i Paesi si sono posti in sede europea, d’altronde, mirano proprio alla considerazione dell’apprendente europeo che vive immerso in una comunità di saperi e di lingue che deve poter condividere con i suoi concittadini. Proprio per questo motivo un documento di fondamentale importanza come il Quadro comune europeo per le lingue o framework pone come punto di forza di qualsiasi intervento in materia di lingua il raggiungimento di una filosofia della trasparenza, che possa garantire la flessibilità e l’agilità di qualsiasi spostamento nel nuovo contesto europeo. Dopo aver espresso questi concetti fondamentali, che caratterizzano le principali linee di aggiornamento seguite in tutta Europa, possiamo definire un concetto importante che, a mio parere, spiega alcune delle differenze rilevate tra i sistemi. L’articolo pubblicato su “Oggi” che ci parlava della scuola finlandese ci presenta un sistema oltremodo funzionale che deriva da una concezione del vivere la formazione molto lontana dalla nostra. Non ci resta che ribadire il fatto che se uno Stato investe con fiducia nella scuola otterrà in cambio delle risposte positive che contribuiscono a rendere migliore tutto il sistema Paese. La scuola italiana, purtroppo, soffre dei malanni causati non solo dai diversi e a volte strani sconvolgimenti ministeriali succedutisi in tanti anni, ma anche da leggi e riforme che a volte, anche se centrate da un punto di vista scientifico e didattico, devono cozzare con la dura realtà della pochezza economica, che porta le scuole, sempre più carenti a livello di fondi d’istituto, a sopravvivere in una sorta di guerra tra pezzenti che certo non contribuisce alla crescita della qualità formativa. Il problema della tanto gridata scarsa qualità della scuola italiana è legato anche al tipo di approccio didattico utilizzato che ci allontana anni luce da Paesi come la Finlandia. Una docente di scuola superiore, durante un dibattito legato proprio alla tematica di cui ci stiamo occupando, è intervenuta affermando che in Finlandia il profitto scolastico è di qualità maggiore perché le basse temperature e il poco sole garantiscono una maggiore predisposizione all’apprendimento. A prescindere da uno studio di tipo sociologico e ambientale che potrebbe rispondere a questo tipo di questione e per il quale non ho certamente le conoscenze adeguate, ritengo che un piacevolissimo clima mediterraneo come il nostro non sia la causa principe del fallimento di certa didattica. Quelli che alcuni insegnanti chiamano “i nuovi metodi”, a volte con accezione di sdegno e voglia di distacco, non sono affatto nuovi. Basti pensare alla versatilità mentale di una figura come quella di Alberto Manzi che, in un’Italia in cui l’unità linguistica e culturale era ancora un obiettivo raggiunto pressocché esclusivamente sulla carta, capì che per comunicare i contenuti è possibile parlare un nuovo linguaggio didattico che non sia censorio e purista, ma induttivo e stimolante. Dobbiamo ricordare anche figure del calibro di Don Milani e Gianni Rodari che, con esperienze diverse e in contesti diversi, perseguirono la strada didattica che porta, come mi ripeto tra gli studi e le esperienze pratiche, a considerare la realtà da tante angolature diverse, tra le quali quella privilegiata è quella dell’apprendente. In conclusione, però, voglio chiarire che non mi trovo in conformità di pensiero con chi tende esclusivamente a screditare la realtà scolastica italiana. Questa ricerca, ovviamente, considera i diversi sistemi scolastici senza prendere in piena considerazione il loro contesto politico-economico e ci scusiamo di questo con il lettore che avrà la pazienza di comprendere che questa non era la sede adatta per un lavoro così approfondito. In Italia, come ho già detto, questo aspetto appare importante proprio per la situazione economica non proprio felice in cui versa il Paese in questi anni, ma la scuola italiana possiede un ricco milieu fatto di risorse umane ed intellettuali che, se spese nel modo più opportuno, possono donare alla nostra realtà un sistema formativo degno dello sforzo profuso ogni giorno. Rinnovare e rinnovarsi, raccontare e raccontarsi, inventare ed inventarsi. Questi gli obiettivi che la scuola italiana deve oggi perseguire per raggiungere i sistemi scolastici più evoluti tra quelli che abbiamo descritto. Tutto ciò, ovviamente, non può essere disgiunto da un più serio impegno dello Stato che dovrebbe cercare di tenere in maggiore considerazione formazione e ricerca come perni dello sviluppo dell’intera società civile.
di Giuseppe Interlandi
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